Vite per la livertà
Pietro benedetti e altre storie di antifascismo
Le leggi eccezionali, il congresso di Lione del Partito comunista d’Italia, il plebiscito, gli anni del “socialfascismo”, il colonialismo e il disastro della guerra fino al 25 luglio, l’8 settembre e infine la Resistenza. Sullo sfondo di questo scenario imponente Vite per la libertà racconta della realtà sociale e familiare degli antifascisti abruzzesi nell’età giolittiana.
L’epicentro è Atessa, un piccolo comune in provincia di Chieti, che è cassa di risonanza della storia contemporanea della valle del Sangro. A partire da quelle strade, da quelle case, da quella società, nel libro si dipana una lunga e complessa matassa di storie di vita, incardinate sulla figura di Pietro Benedetti.
Socialista, poi iscritto al Partito comunista d’Italia, Benedetti è un artigiano e intellettuale autodidatta, un personaggio che si mette in evidenza per la piena coerenza con i principi che professa, a cominciare dall’onestà come stile di comportamento e perciò diventa un punto di riferimento per gli antifascisti del territorio.
Trasferitosi a Roma viene condannato a morte dal tribunale di guerra germanico. Nella struggente lettera all’amata Enrichetta dal carcere di Regina Coeli, venti giorni prima della fucilazione scrive a proposito dei figli: “veglia su di loro ed educali all’amore del lavoro e dello studio, all’onestà ed all’amore dei deboli”.
Non solo una vita esemplare. Benedetti assieme ai tanti altri antifascisti che diventeranno partigiani rappresenta secondo l’autore, Angelo Staniscia, la dimostrazione di una affermazione che andrebbe approfondita e valorizzata: “La resistenza non fu un fenomeno spontaneo così come mai nella storia spontanee sono state le lotte che hanno prodotto risultati importanti”.